15. La moltiplicazione miracolosa
In questi versi vediamo Gesù compiere un altro segno miracoloso, segno che è carico di significato teologico che va ben al di là dello sfamare le migliaia dinnanzi a Lui. Infatti, in questi 15 versi, vediamo come il Signore in ciò che dice e fa, richiama e allude intenzionalmente ad una serie di passaggi ed eventi citati nelle 3 principali sezioni dell’Antico Testamento (la Legge: Num 11 e Deut 18; gli Scritti: 2 Re 4, Ruth 2 e il Salmo 23; e i Profeti: Isa 25 e 49). Così facendo il Signore si identifica e si ammanta (veste) con tutto l’Antico Testamento, per sussurrare ancora una volta ad Israele quello che il popolo di Dio, già familiare con le Scritture, avrebbe dovuto subito cogliere: Che Gesù è il Messia. È più grande di Mosè, di Eliseo e dei profeti che lo hanno preceduto. Che Egli è Dio, e che non solo gli scritti di Mosè, ma tutta la Scrittura parla di Lui e ancora una volta la sta adempiendo davanti ai loro occhi ciechi che non voglio vedere e orecchie sorde che non voglio udire.
Se ci fermiamo solo in superficie, alla mera moltiplicazione degli elementi, al considerare soltanto che c’è abbondante provvidenza materiale nel seguire il Signore, allora perderemmo il vero significato del testo. Se manchiamo infatti di vedere Gesù identificarsi come il nuovo Mosè venuto per inaugurare il Nuovo Esodo adempiendo profezie, tipi e ombre dell'Antico Testamento, beh, finiremmo col fallire di capire quello che Giovanni ci sta dicendo in questi versi e nel resto di questo glorioso capitolo sesto.
Infatti, solo connettendo questi versi con i corrispondenti dell’Antico Testamento possiamo veder emergere da tale miracolo tre cose:
1. L’allusione di Cristo al Primo Esodo
2. Il desiderio d’Israele di un esodo terreno
3. La realtà del Nuovo Esodo inaugurato da Cristo